Pubblicato lunedì 3 giugno 2019
Il bilancio comunitario è composto da quanto versano gli stati (che ricevono con i programmi settenali di finanziamento), da una percentuale sui dazi doganali e da altre fonti. Sul tavolo alcune proposte per rendere più autonoma l'Unione
Meno di un caffè al giorno. Questo il costo per ogni cittadino dell’Unione europea, che conta un bilancio di 157,9 miliardi (dati 2017, ultimo dato ufficiale). Un dato che corrisponde a un cinquantesimo dei 7mila miliardi dei 28 bilanci nazionali dei paesi membri, un centesimo del Pil europeo che ammonta a 15 mila miliardi.
Il 93% di questa cifra è restituito ai paesi membri attraverso i programmi di finanziamento ormai in scadenza della programmazione 2014-2020, che vengono somministrati anno per anno e che presto cederanno il passo a quelli previsti per il prossimo settennato 2021-2027, il cui varo sarà deciso entro l’anno dal nuovo Parlamento e dal Consiglio composto dai governi dei paesi membri, su proposta della Commissione europea.
Sulle pagine del supplemento Economia del Corriere della Sera del 27 maggio, Ernesto Maria Ruffini ha ricostruito i dati fondamentali dell’istituzione comunitaria, sottolineandone oltre al dato di bilancio, anche il numero di dipendenti di ogni livello (60 mila, meno della Regione Sicilia, che costano il 7% del bilancio Ue).
La struttura europea è finanziata per quasi il 70% dal contributo degli Stati in base a percentuali calcolate sui Pil nazionali; a ciò si aggiunge il 15% generato dall’80% del ricavato dei dazi doganali comunitari e da altre entrate. "Questa legislatura che si apre – commenta Ruffini – potrebbe essere l’occasione per dare alla Ue fonti di finanziamento che non siano vincolate alla volontà degli Stati membri, per sottrarla alle dinamiche interne, come avveniva negli Stati Uniti nel periodo confederale (1781-1788) prima che adottassero la costituzione attuale".
Tre le proposte attualmente sul tavolo per rendere più autonomo il budget Ue: alzare la quota derivante dal prelievo doganale, creare un’imposta sulle transazioni finanziarie e introdurre un prelievo sulle emissioni di CO2 prodotte dai combustibili fossili, capace di generare 60 miliardi di euro annui.
Ruffini ne mette sul piatto un’altra: spostare prelievo e gestione degli introiti dell’imposta sulle società dagli stati nazionali all’istituzione comunitaria. Il motivo, spiega l’economista, è da collegare con i benefici che le imprese hanno acquisito con l’introduzione del mercato unico e con la stabilità generata in questi anni dall’euro.
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